Recensione di “Un bel sogno d’amore” di Andrea Vitali

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Un bel sogno d’amore” di Andrea Vitali ha tutte le potenzialità per essere un ottimo romanzo. Ed in realtà è molto bello anche se,  va detto per dovere di cronaca,  non sempre centra il punto che vuole raggiungere perfettamente.

Io amo i romanzi popolari, quelli che riescono a tracciare un quadro perfetto di una generazione, ancor più se tale impresa riesce in un contesto di “paese”. E sebbene in questa opera si parta da un particolare poco fantasioso quale la contrapposizione tra il “progresso” ed il “bigottismo” in questo caso espressi attraverso l’arrivo in un cinema di paese (siamo nel 1973, N.d.R.) di “Ultimo tango a Parigi” e delle sue scene di nudo contrastato dai “credenti”, il vero punto di forza della narrazione sono i personaggi che appaiono all’interno della trama.

Ora, non voglio anticiparvi più del necessario perché fermamente convinta che libri di questo genere, e “Un bel sogno d’amore” non fa eccezione,  debbano essere “spizzicati” ed assaporati con attenzione e gustosa partecipazione, ma a partire dallo gestore del cinema, fino ad arrivare ad Adelaide passando per tutti gli altri, ci si trova davanti ad un intreccio di molteplici realtà in grado di suscitare emozioni. E non prendiamoci in giro: la forza di un libro sta proprio nella capacità che ha di spingere sul lato emotivo di chi lo legge, dandogli modo se non di sentirsi coinvolto, almeno di avere una reazione.

Tutto questo vi fa capire quanto mi sia piaciuta l’opera di Andrea Vitali. Questo non significa però non vedere la debolezza di un impianto di un certo genere. Non vi è la classica struttura di un romanzo popolare, il fine di tutto ciò, non è onestamente chiaro. Ci ho pensato un po’ e la cosa migliore che posso fare è compararlo ad una serie di polaroid scattate di una famiglia. Se non si ha un fine, se non si conosce il contesto, possono emozionare ed essere belle, ma non dare un messaggio ben preciso.

 

 

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